IL GIUDICE PER LE INDAGINI PRELIMINARI Ha emesso la seguente ordinanza di trasmissione degli atti alla Corte costituzionale (art. 23, legge 11 marzo 1953, n. 87), nel processo n. 455/96 r.g.n.r. (102/1997 r.g. g.i.p.) nei confronti di: Specchi Francesco, nato a Ascoli Piceno il 4 dicembre 1957, domiciliato presso la caserma Carabinieri di Lecco, difeso di fiducia da avv. Maurizio Gerosa di Morbegno (Sondrio). Imputato: a) in ordine al reato di cui all'art. 323 c.p. per avere, in qualita' di comandante della stazione dei Carabinieri di Ardenno, nello svolgimento delle sue funzioni, in violazione delle norme del codice di procedura penale inerenti il provvedimento che dispone gli arresti domiciliari e dell'art. 650 c.p., abusato del proprio ufficio, facendo lavorare per circa una settimana presso la propria abitazione in costruzione nel comune di Castione Andevenno Fascendini Corrado, detenuto agli arresti domiciliari in Ardenno ed autorizzato dal g.i.p. a recarsi presso il comune di Castione Andevenno per svolgere l'attivita' di muratore presso la ditta Borromini per giorni 15 dalla data del provvedimento dell'11 gennaio 1996. Con tale condotta procurava a se' un vantaggio patrimoniale consistito nella esecuzione di lavori di edilizia a basso costo per un compenso orario di L. 10.000. In Ardenno e Castione Andevenno tra il 10 e il 25 gennaio 1996; b) Omissis. Decidendo sulla eccezione di illegittimita' costituzionale dell'art. 323 c.p. in relazione all'art. 25, comma secondo, della Costituzione sollevata dalla difesa dell'imputato nel corso della udienza preliminare del 7 maggio 1998; Sentito il p.m.; O s s e r v a 1. - Premessa. In sede di udienza preliminare il giudice ha il potere/dovere di pronunciare sentenza di non doversi procedere o di non luogo a procedere nel caso in cui il "fatto non e' previsto dalla legge come reato" (artt. 129 e 425 c.p.p.). Primo compito del giudice e' pertanto quello di verificare se, in seguito alla modifica normativa dell'art. 323 c.p. apportata con legge 16 luglio 1997, n. 234, ricorrano i presupposti per pronunciare sentenza di proscioglimento (n.d.p. o n.l.p.) perche' il fatto non e' (piu') previsto dalla legge come reato. 1.1. - Ove tale riscontro dia esito positivo (ossia si ritenga la non riconducibilita' della condotta contestata nel precetto dell'attuale art. 323 c.p.), il giudice dovra' prosciogliere l'imputato in base all'art. 2, comma 2 c.p., trattandosi di fatto che, secondo una legge posteriore, non costituisce reato. In tale ipotesi una questione di legittimita' costituzionale dell'art. 323 vecchio testo c.p. sarebbe, di tutta evidenza, non rilevante ai sensi dell'art. 23, comma 2, legge 87/1953. 1.2. - Qualora invece la condotta ascritta all'imputato integri gli estremi della nuova fattispecie, la norma di cui all'art. 323 antevigente troverebbe necessaria applicazione in virtu' dei principi di cui all'art. 2. commi 1 e 3, c.p., dovendo il giudice verificare se la condotta de qua rientri anche nella precedente fattispecie incriminatrice, in vigore al momento della commissione del fatto. Il che ripropone i dubbi di legittimita' costituzionale gia' sollevati dallo scrivente come da numerosi altri giudici di merito e rimasti tuttora insoluti, avendo la Corte costituzionale restituito gli atti ai giudici a quibus per accertare se la questione di legittimita' costituzionale sia tuttora rilevante alla luce della sopravvenuta legge n. 234/1997 (ordinanza 7 novembre 1997, n. 327). Non sfugge allo scrivente che la giurisprudenza della suprema Corte formatasi in seguito alla entrata in vigore della legge n. 234/1997 ha costantemente affermato essersi creata una successione normativa tra il vecchio ed il nuovo art. 323 c.p. (art. 2 comma 3 c.p., quindi) ed ha precisato che "la nuova fattispecie di abuso di ufficio risultante dalla legge 16 luglio 1997, n. 234 costituisce legge piu' favorevole - sia in quanto restringe l'area dei comportamenti sanzionati alle violazioni di legge o di regolamento o alle ipotesi di mancata astensione in caso di interesse personale, sia in quanto costruisce una figura di reato di evento, sia in quanto prevede un trattamento sanzionatorio piu' mite - e trova pertanto applicazione anche ai fatti commessi sotto il vigore della precedente normativa" (sul punto Cass. pen. sez. VI 15 dicembre 1997, n. 11483; sez. V 15 dicembre 1997, n. 11520; sez. VI 22 dicembre 1997, n. 11984; sez. VI 4 dicembre 1997, n. 11204; sez. VI 29 gennaio 1998, n. 1192; sez. VI 23 febbraio 1998, n. 2328). Ma questo orientamento, quand'anche condivisibile, non risolve il problema, che e' a monte, della questione di legittimita' costituzionale dell'art. 323 previgente. Si osserva infatti che sulla base all'art. 30, terzo e quarto comma della legge n. 87/1953, qualora la Consulta si esprimesse nel senso della incostituzionalita' dell'art. 323 (come novellato dalla legge 26 aprile 1990, n. 86), si verrebbe a creare una vera e propria abolitio criminis, analogamente a quanto previsto dall'art. 2, comma secondo c.p., con la conseguenza che giudice per l'udienza preliminare - lungi dal poter prendere in considerazione la suddetta norma per la comparazione con quella di cui al testo vigente al fine della individuazione e applicazione della norma piu' favorevole al reo ai sensi dell'art. 2 comma 3 (attivita' che presuppone la sussistenza di due norme costituzionalmente legittime) - dovra': emettere sentenza di proscioglimento perche' il fatto non e' piu' previsto dalla legge come reato in ossequio al principio di irretroattivita' della legge penale, che gli impedira' di applicare la norma di cui al nuovo art. 323; ovvero, qualora si ritenesse che a seguito della illegittimita' costituzionale della norma di cui all'art 323 cosi' come introdotta dalla legge n. 86/1990 tornino a rivivere quelle ancor prima vigenti (ed in particolare gli originari artt. 323 e 324 c.p.), raffrontare e compare queste ultime con la norma attuale ai sensi e per gli effetti di cui all'art. 2, comma 3 c.p. Soltanto nel caso in cui la Corte costituzionale dichiarasse la legittimita' dell'art. 323 testo del 1990, la norma in esso contenuta potra' essere presa in considerazione ai fini della valutazione e comparazione di cui all'art. 2, comma 3, con possibilita' di applicazione della giurisprudenza della Suprema Corte dianzi citata. In sostanza, qualora il fatto contestato, commesso nella vigenza dell'art. 323 c.p testo del 1990, sia riconducibile anche alla fattispecie dell'art. 323 nuovo testo c.p., la questione della legittimita' costituzionale della prima norma e' certamente rilevante, laddove, in caso contrario, il giudizio puo' essere definito senza ricorrere all'intervento della Corte costituzionale. 2. - Qanto alla rilevanza. Fatta questa premessa si deve quindi procedere alla verifica in astratto della riconducibilita' del fatto contestato all'imputato nella fattispecie normativa del nuovo art. 323 c.p., al fine di accertare se tutti gli elementi costitutivi dell'illecito penale come individuato nella vigente norma "siano stati ritualmente descritti nell'imputazione o altrimenti contestati all'imputato" (Cosi' Cass. 25 gennaio 1993, n. 553), o comunque se gia' dalla stessa formulazione del capo d'imputazione si evinca l'insussistenza di almeno un elemento costitutivo del nuovo reato in oggetto. Si ritiene che, nel caso di specie, non sussistano i presupposti per l'emanazione immediata di una sentenza di ndp, poiche' dall'esame del capo d'imputazione risulta che nello stesso sono state contestate all'imputato condotte di abuso astrattamente sussumibili nel nuovo testo dell'art. 323 c.p., essendo, la condotta descritta, avvenuta nell'esercizio delle funzioni di pubblico ufficiale e non potendosi escludere che l'abuso come contestato sia consistito anche in violazione di legge o di regolamento, come indicato dal p.m. nel capo d'imputazione. Inoltre essendosi, il reato contestato, consumato il 25 gennaio 1996, non sussistono neppure i presupposti per dichiarare la sopravvenuta prescrizione del reato ed evitare cosi' l'intervento della Corte costituzionale. Risulta pertanto rilevante la questione di legittimita' costituzionale in oggetto. 3. - Quanto alla non manifesta infondatezza. 3.1. - Violazione dell'art. 25, della Costituzione. Si ritiene al riguardo che il principio di tassativita' cui, a norma dell'art. 25, comma secondo della Costituzione, devono conformarsi le norme incriminatrici penali, esprima l'esigenza di evitare la genericita' e l'indeterminatezza della fattispecie astratta, in modo che non soltanto sia assicurata al giudice la possibilita' di individuare, a mezzo degli usuali metodi ermeneutici, la condotta penalmente rilevante, ma anche per consentire ai consociati di conoscere preventivamente cio' che e' reato da cio' che non lo e'. Cio' posto, l'interpretazione corrente della norma di cui all'art. 323 testo previgente ricomprende nella condotta dell'abuso "ogni violazione del parametro di doverosita' come risulta dalle regole normative improntate ai principi di legalita', imparzialita' e buon andamento della p.a." (cosi' Cass. 9730/1992), e "qualsivoglia comportamento del pubblico ufficiale esplicantesi in una illecita deviazione dai fini istituzionall della p.a." (cosi' Cass. 5340/1993), nonche' gli atti viziati da eccesso di potere. La suddetta interpretazione, che costituisce diritto vivente, non consente di escludere dubbi sull'indeterminatezza della fattispecie penale di cui trattasi, stante la aleatorieta' di figure quali "parametro di doverosita'?" e "fini istituzionali" e l'assenza di una definizione normativa della figura dell'eccesso di potere, i cui contenuti sono stati individuati soltanto ex post dalla dottrina e dalla giurisprudenza amministrativa ed e' figura il cui contenuto e' in costante evoluzione e cambiamento. 3.2. - Si ritiene inoltre che la incertezza della norma di cui all'art. 323 non possa non costituire anche una lesione del diritto di difesa, costituzionalmente garantito (art. 24, secondo comma della Costituzione). 3.3. - Violazione dell'art. 97 della Costituzione. La fattispecie di cui all'art. 323 c.p. testo del 1990 si caratterizza per i termini del tutto evanescenti della nozione di abuso d'ufficio, e per il ruolo centrale del dolo specifico, che finisce per decidere della stessa illiceita' di una condotta di per se' neutra, in evidente contrasto con le esigenze di tassativita' sottese al principio di legalita' in materia penale. Tale insufficiente determinatezza del delitto di abuso d'ufficio compromette il buon andamento della p.a., poiche' le incursioni del giudice penale nella sfera amministrativa, in assenza di univoci criteri oggettivi idonei a delimitare il confine tra lecito ed illecito, rischiano di paralizzare anche le piu' ordinarie attivita' dei pubblici funzionari (cosi' Tribunale Piacenza, 16 aprile 1996).